Francesco Saverio Russo: il blogger che ama le Rive
Intervista al wine blogger, degustatore di vini e divulgatore enoico marchigiano, dopo la sua ultima visita al territorio
Marchigiano, ma toscano di adozione visto che vive da anni ad Arezzo, Francesco Saverio Russo è uno dei più influenti e autorevoli wine blogger italiani, oltre che degustatore di vini e divulgatore enoico, attivo soprattutto tramite il suo sito wineblogroll.com ma anche sui social, dove su Instagram ha un profilo seguitissimo, @italianwinelover, che conta 104.000 follower. La sua caratteristica principale, che lo differenzia da molti influencer, è che ama raccontare il vino nel dettaglio, con testi lunghi e ricchi di immagini, a dispetto della brevità richiesta dai social. Ed è un grande conoscitore e appassionato del Conegliano Valdobbiadene, territorio che visita spesso, l’ultima volta lo scorso marzo. Proprio in quest’occasione abbiamo voluto conoscerlo meglio e capire qual è la sua idea del vino e la percezione che ha del nostro territorio.
Saverio, come nasce la tua passione per il mondo del vino?
Mi piacerebbe dire che sono un figlio d’arte, ma non è così. Tolta qualche vendemmia fatta da adolescente nelle vigne di Verdicchio nella mia terra natìa, non ho avuto rapporti con la vigna e il vino fino a 20 anni. È stato trasferendomi in Toscana che questo meraviglioso ma complesso mondo mi ha letteralmente folgorato, passando in pochi anni dall’essere una grande passione a rappresentare il mio lavoro e la mia vita. Il tutto è sfociato in maniera naturale nel comunicare le mie esperienze dirette e i miei punti di vista attraverso il mio wineblog www.wineblogroll.com e i miei profili social, accomunando così la passione per il vino a quella per la scrittura.
Quali sono le tue esperienze sul territorio del Conegliano Valdobbiadene?
Spinto dalla necessità di fare chiarezza nei riguardi della confusione imperante che si fa sia tra i consumatori che tra gli addetti ai lavori, ho voluto approfondire le dinamiche territoriali della DOCG Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore attraverso diverse visite sul territorio dalle quali sono scaturiti alcuni approfondimenti. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a un vero e proprio boom del “brand” Prosecco che ha spinto molti a fare di “tutta l’erba un fascio” e di tutto un vino spumante un Prosecco. Proprio per questo ho ritenuto fondamentale tornare più volte sul territorio non solo per constatare lo stato dell’arte della produzione (molto cresciuta in termini qualitativi e interpretativi) ma anche e soprattutto per condividere con chi mi legge e chi ho modo di incontrare de visu durante le mie attività di formazione, seminari o convegni una visione più approfondita, ergo opportuna, del territorio e dei virtuosismi dei produttori locali.
Quali invece le caratteristiche principali che trovi nei suoi vini?
Credo che ogni tipologia meriterebbe un approfondimento ma rischierei di dilungarmi e di spoilerare ciò che andrò a discernere nel mio prossimo articolo sul territorio, ma di certo ci sono dei comuni denominatori che fanno del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG un vino capace di rappresentare un’identità differente dalle altre interpretazioni di Prosecco. Tra questi spicca sicuramente l’armonia e la proiezione a una maggior finezza degli aromi, con spiccata sapidità e strutture che si declinano in base alla singola zona di produzione permettendo di distinguerne, in molti casi, una forte aderenza all’origine pedoclimatica.
Dopo il tuo ultimo viaggio sul territorio ha raccontato sul tuo profilo IG in particolare le Rive: ci riassumi la tua opinione in merito?
Credo che le Rive (unitamente alla nuova tipologia “Sui Lieviti” e a una spinta comune nei riguardi della sostenibilità e nel rispetto dell’habitat in cui insistono i vigneti) possano rappresentare una leva per elevare il percepito e il posizionamento medio dell’intera denominazione, attraverso un racconto diretto e inequivocabile che tratti di vocazione, pendenze ma anche di un monte ore lavoro (per lo più manuale) ben più alto di quello della pianura e di rese molto inferiori (che generalmente non trovo per forza di cose inversamente proporzionali alla qualità ma che, in questo caso, contato molto per fare un primo distinguo). Purtroppo, la generalizzazione che vige riguardo il “Prosecco” porta gli stessi commercianti (distributori e importatori) a indurre ulteriore confusione buttando DOC e DOCG nello stesso calderone per poi lavorare solo sul prezzo.
Va da sé che il costo di produzione di una bottiglia di Cartizze o di Rive e più in generale di un DOCG è notevolmente superiore a quello possibile in gran parte della DOC, per motivi logici di costo del lavoro manuale nella gestione agronomica e nella raccolta e per le produzioni più basse, come detto poc’anzi. Non è solo il costo del lavoro e la vendemmia rigorosamente manuale a fare la differenza, ma è anche la capacità di molti vini che ricadono nella menzione Rive di mostrare personalità e identità più marcate. Questi aspetti, unitamente alla maggior vocazione di alcune aree e ad un approccio spesso più accorto sia in campo che in cantina dovrebbero concorrere nel far comprendere le doverose differenze.
Non volendo dare la priorità alle individualità e, quindi, alle singole aziende è stato fondamentale confrontarmi con dei gruppi di produttori riuniti in un’unica sede e visitare una serie di vigneti rappresentativi del territorio capaci di esprimere diverse identità di terroir, attraverso numeri e filosofie differenti ma convergenti sul comun denominatore della qualità. In parole povere, non potendo obbligare tutti a fare almeno una vendemmia sui ciglioni delle Rive o anche solo a visitarle, è opportuno veicolare il messaggio di questa vera e propria viticoltura eroica attraverso una comunicazione che verta sui valori che questi vigneti possiedono, rendendo credibile la narrazione attraverso un posizionamento adeguato dei vini che ne sfoggiano il nome in etichetta.