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Sacre “voci” tra i colli

Sono sempre di più, da tutto il mondo, gli appassionati che ammirano gli organi sette ed ottocenteschi, straordinarie “macchine da musica”, custoditi nelle chiese del territorio
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di Marina Grasso

Si va sempre più affermando, nella città di Treviso ma anche in tutta la sua provincia, il fenomeno del “turismo organistico”. Ossia quel flusso, non enorme ma costante, di studiosi, studenti e appassionati di arte organaria e di musica organistica provenienti da tutto il mondo, che vogliono ammirare e ascoltare le voci dei tanti straordinari organi custoditi nelle chiese della Marca Trevigiana. Ed è un turismo che affonda le proprie radici in un’arte organaria che già nel Quattrocento esprimeva le proprie eccellenze nella città di Treviso, anche se di essa non ci sono rimaste che alcune cronache dell’epoca.

Arte che, poi, che si è capillarmente diffusa nella seconda metà del XVIII secolo nelle tante chiese della città e della provincia, attraverso straordinarie macchine da musica, complesse e sorprendenti, che hanno sempre rappresentato anche qualcosa di più: strumenti che hanno accompagnato le celebrazioni religiose e che per secoli hanno anche costituito una delle poche occasioni per ascoltare musica per chi non poteva permettersi il lusso di frequentare teatri, salotti o sale da concerto. Veri e propri “focolari culturali” attorno ai quali le comunità si sono raccolte, e dei quali anche le colline di Conegliano e Valdobbiadene custodiscono numerosi esempi pregiatissimi, molti dei quali, anche se danneggiati dal tempo, dai conflitti e a volte dall’incuria, sono stati riportati in perfetta efficienza da restauri che le comunità hanno fortemente voluto e spesso finanziato, con l’orgoglio con cui si accudisce, si tutela e si promuove un patrimonio culturale percepito come collettivo e fondante.

Sono, così, giunti fino a noi numerosi organi della settecentesca “Scuola Veneziana” – inimitabili per trasparenza, morbidezza, chiarezza e calore dei loro suoni – e numerosi esempi appartenenti all’ottocentesca “Scuola Lombarda”, che realizzò organi ricchi di colori e di possibilità espressive, secondo l’esigenza del tempo di “imitare un’orchestra”, soprattutto per la trascrizione delle partiture operistiche allora tanto in voga (e che la maggior parte delle persone più semplici aveva così l’opportunità di ascoltare… in chiesa).

Il più celebre tra gli organari della Scuola Veneziana, dominata da un’essenziale razionalità tutta settecentesca, fu Gaetano Callido (1727-1813): in quarantaquattro anni di celebrata attività costruì ben 430 organi in tutte le regioni della costa adriatica e del Mediterraneo.

Ben undici furono gli strumenti che realizzò nella sola città di Treviso fra il 1769 e il 1793 e cinque di questi sono tuttora perfettamente conservati e funzionanti. Ma ha lasciato chiara testimonianza della sua arte anche nella Chiesa Arcipretale di Cison di Valmarino: lo strumento da lui realizzato nel 1779 fu un po’ mortificato nel secondo dopoguerra, con interventi che hanno sostituito la meccanica con l’elettricità e lo collocarono dietro all’altare.

Fortunatamente, però, nel 1998 è stato riportato sia nella sua cantoria sopra al portone d’ingresso, sia nell’originale struttura fonica, grazie ad un avveduto restauro che testimonia l’attenzione e la passione della comunità locale per il proprio patrimonio organaro.

Un’altra opera di Gaetano Callido, l’ultima del suo immenso catalogo, è custodita nella chiesa Santi Pietro e Paolo di Farra di Soligo. Realizzato nel 1806, l’organo ha subito un intervento modificativo da parte di un altro grande organaro, Giovanni Battista De Lorenzi, nel 1865, che ne arricchì la tavolozza sonora per assecondare le mutate esigenze del gusto dell’epoca. Il successivo e più recente restauro ha mantenuto le caratteristiche imposte da De Lorenzi, sia per il pregio dell’intervento sia per la caratura dell’organaro. E anche se la “voce” originale dello strumento callidiano è stata, così, definitivamente modificata, resta uno strumento di grande valore artistico e fonico. Anche il Duomo di Serravalle, a Vittorio Veneto, vanta un organo firmato Callido.

A realizzarlo, nel 1822, furono però Antonio e Agostino, figli del celebre Gaetano. Alle sonorità tipiche della Scuola Veneziana del padre, i suoi eredi associarono elementi – riscontrabili anche da un occhio profano nelle più ampie dimensioni dello strumento e nella doppia tastiera – più moderni. Lo strumento, ha quindi, una maggiore ricchezza di “colori” di quelli del loro genitore, e numerosi elementi risentono già dell’influsso della Scuola Lombarda. Giunto fino a noi sostanzialmente integro, è stato anche valorizzato da un sapiente restauro nel 1998.

Nella Chiesa dei Santi Martino e Rosa a Conegliano, in una bella cantoria in legno riccamente decorata, si trova l’organo a due tastiere costruito da Giovanni Battista De Lorenzi nel 1862, che sintetizza elementi veneziani e lombardi nella sua tavolozza sonora, rendendo lo strumento particolarmente interessante. Dopo qualche danno subito durante la prima guerra mondiale, fu restaurato dapprima nel 1920, quindi nel 1969 gli furono tolte modifiche apportate nel passato, che – poco filologiche – ne sminuivano il valore. Nel 2010, infine, un altro restauro gli ha restituito tutto il suo splendore fonico.

È una vera rarità in questa parte del Veneto l’organo costruito nel 1857 dai Fratelli Serassi nella Chiesa di Santa Maria Immacolata di Solighetto, a Pieve di Soligo. Rarità poiché la pur copiosa produzione di organi della Ditta Serassi, bergamasca, non riuscì spesso a imporsi nelle chiese trevigiane, già dotate di organi settecenteschi dal valore ben riconosciuto. Ma, nella chiesa di Solighetto, l’abbondanza delle decorazioni e degli arredi è un esempio di coerenza esecutiva insolita, e testimonia come – alla metà dell’Ottocento, quando fu edificata – si fosse formato un particolare gusto per la commistione e convivenza di stili fra loro molto diversi: un organo tipicamente di Scuola Lombarda, con ampie possibilità timbriche ed esecutive, rientra, quindi, a pieno titolo del progetto della chiesa stessa.

[Articolo originariamente pubblicato sulla rivista Visit Conegliano Valdobbiadene Autunno Inverno 2018. L’intero numero è disponibile qui]