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Storie  

Cogliere la meraviglia

L'intervista ad Arcangelo Piai dall'ultimo Visit Conegiano Valdobbidene: "la forza creativa dei paesaggi nell’ambito di una storia”
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La sua fama internazionale è soprattutto legata agli iconici scatti con i quali ha dato un significativo contributo alla candidatura a sito UNESCO delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Ma Arcangelo Piai ha cominciato più di trent’anni fa, da ragazzo, a raccontare i paesaggi collinari in cui ha sempre vissuto, affascinato dalla loro bellezza ma anche dalla loro singolarità, dal lavoro degli uomini e delle donne che li forgiano ogni giorno, dai repentini fenomeni atmosferici creati dai microclimi. Dal realismo della vita quotidiana, più che dalla “cartolina”.

«La padronanza tecnica è sicuramente importante, nel mio lavoro», afferma. «Ma lo è ancor di più avere delle idee, non fermarsi all’immagine singola ma saper raccontare cercando “La giusta distanza”, per citare il titolo del film di Carlo Mazzacurati a cui penso spesso mentre fotografo». La relazione con il cinema non è casuale, poiché continua: «Il cinema è sempre stato per me un riferimento importante, e mi ritrovo molto nelle parole di Wim Wenders quando afferma: “Credo fermamente nella forza creativa dei paesaggi nell’ambito di una storia”. Mi riconosco molto nelle parole del grande regista quando sintetizza che “Una macchina fotografica vede perciò davanti il suo oggetto, e dietro il motivo per cui questo oggetto doveva essere fissato. Mostra le cose e il desiderio di esse”. E mio desiderio è restituire un’immagine attendibile, senza ruffianerie, soprattutto quando fotografo le “mie” Colline. Infatti, avvertendo il senso di responsabilità che accompagna quella testimonianza ed anche la consapevolezza che, inevitabilmente, il fotografo deve saper convogliare l’attenzione dell’osservatore.

Per questo non mi accontento mai di selezionare un’immagine, tra i miei scatti, ma cerco di mettere insieme le immagini per raccontare storie, sia in mostre sia in libri, sia in progetti più articolati. È un’operazione che mi ricorda spesso quella del montaggio di un film, poiché non è infrequente dover togliere dalla narrazione anche scatti ben riusciti perché non funzionali al racconto e, con una certa dose di umiltà, scegliere invece quelli che guidano alla comprensione, all’approfondimento».

Le fotografie di Arcangelo Piai sembrano sempre non voler svelare tutto subito, tra luci e atmosfere attentamente cercate e ricercate, tra dettagli spesso trascurati e soggetti ancora inesplorati che, spesso, sono diventati protagonisti di molti altri lavori fotografici, come le sue straordinarie immagini delle vendemmie “eroiche” tra le Rive del Conegliano Valdobbiadene DOCG. O come il progetto “Rive / Piere / Casère e il popolo delle colline”, una mostra itinerante e un libro frutto di cinque anni di cammino con il collega Corrado Piccoli e altri professionisti tra le antiche case disseminate tra i vigneti, tra gli echi e i silenzi di un’umanità che quel paesaggio ha vissuto, accudito e poi abbandonato per trasferirsi in più confortevoli abitazioni.

«Quello è stato un lavoro corale che mi è piaciuto moltissimo proprio perché riunito a lungo due fotografi, un regista, un giornalista, un grafico che hanno condiviso una chiave narrativa inedita. Ultimamente ho invece lavorato
a un viaggio tra le Colline lungo un giorno: l’ho raccontato con immagini di nuvoloni che si addensano e di pioggia; di boschi e di pecore al pascolo; di lavoro quotidiano e di edicole votive; di strisce di nebbia e di cieli incolori. Di vita vera. Per raccontare la meraviglia delle nostre Colline anche quando la luce non è ideale o la scena non è perfetta».

Un’altra delle caratteristiche di Piai è cercare quel che definisce “la giusta distanza” dall’alto, e non solo quando ritrae le Colline del Conegliano Valdobbiadene dove questo avviene quasi naturalmente. «Da sempre, cerco il punto più alto possibile per guardare dall’alto ogni cosa, di “alzarmi” per allargare lo sguardo. Negli anni, sono salito su torri e osservatori, ho noleggiato elicotteri, ho messo a punto cavalletti altissimi ed altri stratagemmi, fino a quando la tecnologia mi ha dato una mano e dal 2011 utilizzo i droni. E non per la vertigine dell’altezza, ma per avere una visione a volo d’uccello che mi permette di leggere le complessità e le peculiarità ancor più da vicino, come in un avvincente piano sequenza cinematografico».

Dopo tutti questi riferimenti al cinema, inevitabile chiedergli che cosa vorrebbe che il cinema raccontasse delle “sue” Colline. «Vorrei che scoprisse il fascino reale di questi luoghi e delle persone che ne sono parte integrante. Che notasse i contrasti e le contraddizioni, che non vedesse solo i vigneti ma anche i boschi. Insomma: le cose meno pittoresche ma più autentiche. Personalmente, sono un fotografo che, quando vede i colleghi scattare tutti insieme dalla stessa angolazione, si sposta per cercare un’inquadratura diversa. Spero che anche l’occhio cinematografico sappia spostarsi dai “soliti” e incantevoli luoghi e raccontare, in futuro, non solo la bellezza ma l’unicità di queste Colline. Che non sono solo magnifiche ma anche molto di più».

Tratto dal Visit Conegliano Valdobbiadene 02/2024