Prosecco.it — Conegliano Valdobbiadene DOCG

Bellezza silenziosa

Leggende e misteri della cinquecentesca chiesa di San Lorenzo di Credazzo, dove, tranne per i ritocchi ottocenteschi al campanile, tutto è rimasto intatto e originale come cinque secoli fa.
1 Doppia Apertura - Francisco Marquez crop

Leggende di strane pietre che farebbero diventare pazzi gli abitanti del luogo e storie di medievali signori che abitavano il vicino castello. La secolare veglia sul lavoro quotidiano tra le colline e l’intercessione del santo raffigurato, dietro il piccolo altare, con la grande graticola sulla quale morì. Di questo parlerebbe, se potesse, la chiesa di San Lorenzo di Credazzo.

Ma parlerebbe anche dei silenzi che la avvolgono, del suo dominare il morbido susseguirsi di vigneti tra i sentieri tracciati nella terra argillosa da una storia millenaria; di quella bizzarra tradizione popolare (totalmente infondata) che vuole che da quelle parti sia sepolto Attila; di quei volontari che le regalano il loro tempo per la manutenzione e la pulizia e anche, saltuariamente, per aprire le porte e accogliere fedeli e turisti oltre quella soglia che reca la data del 1573 e il nome di “Mastro Zuane da Cividal”, che in quella data la rimaneggiò. Perché la piccola cappella campestre tra le vigne è lì almeno dal XII secolo (la prima citazione ufficiale è in un atto notarile del 1210), e la sua vicinanza alle Torri di Credazzo (sorte intorno al IX-X secolo) rende credibile anche una sua fondazione precedente.

È stata, quindi, testimone di tante e tante storie ma, naturalmente, “non parla”. Così non sapremo mai perché il suo austero e massiccio campanile duecentesco ebbe bisogno di essere “rimodernato”, nel tardo Ottocento, con le attuali e incongruenti merlature a coda di rondine. Non ci svelerà mai il significato delle strane e misteriose incisioni di una sua pietra d’angolo, una delle cosiddette “piere dei mat” (pietre dei matti), secondo una leggenda che fin dall’epoca longobarda attribuisce una vena di pazzia agli abitanti di Farra di Soligo che entrano in contatto con una di esse. Non ci spiegherà il suo splendido e insolito isolamento, probabilmente voluto per sfruttare la magnifica posizione panoramica e strategica. Ma anche se non ha nulla di esplicito da raccontare, andate ad ascoltarla. Anche solo dall’esterno. Sentirete il suono di una storia che negli ultimi cinque secoli è passata lieve sugli erbosi filari di vigne, l’eco delle tante voci che quel paesaggio d’incanto l’hanno disegnato e conservato giorno dopo giorno, l’orgoglio di quella pietra benedetta nell’accompagnare il ritmo del lavoro e delle stagioni. E, nelle stagioni giuste, potrete anche cogliere il profumo dei fiori e poi degli acini di quell’uva bianca, generosa e fragrante, che solo in questo luogo incantato odora così. Che solo da qui, e da pochi altri luoghi così incantati, diventa Conegliano Valdobbiadene Docg.

Articolo di Marina Grasso. Foto di  Francisco Marques. [Originariamente pubblicato sulla rivista Visit Conegliano Valdobbiadene Primavera Estate 2018. L’intero numero è disponibile qui]